Questo titolo un po’ particolare sta ad indicare che vorrei trasmettere e parlare della parte più prettamente emozionale e di cuore che riguarda il rapporto con le Campane Tibetane. In effetti, cercando sulla rete o meglio ancora con un buon libro sul tema, si possono trovare facilmente tantissime notizie sulla storia, sulla tecnica costruttiva e sulla teoria del suono. Temo che potrei solo aggiungere cose già dette e non così innovative. Voglio quindi parlarvi di quello che provo quando mi rapporto con le mie Campane Tibetane. Innanzitutto rispondo a una domanda che mi viene fatta frequentemente: come si sceglie una Campana? Già da questo magico momento secondo me inizia un percorso personale che può essere davvero intenso e coinvolgente. Io amo sostenere che non siamo solo noi a scegliere la Campana, ma è anche la Campana che sceglie noi. Si crea una alchimia e una corrispondenza tra la persona e l’ “oggetto” davvero uniche. Mi spiego…..dopo aver scelto con gli occhi, è indispensabile toccare la campana, sentire che sensazioni restituisce al tatto. Essa può essere piacevole da tenere in mano, ben equilibrata, di un peso compatibile col proprio sentire. Poi si inizia a suonarla e lì, oltre alle tecniche base utilizzate, è davvero fondamentale che il suono prodotto sia avvolgente, armonioso, piacevole all’udito per sé e per chi ci sta intorno. Quanto detto fino ad ora non è per nulla scontato, ma lo è ancora meno misurarsi con un suono più prolungato della campana, un suono che va quindi oltre la prova, ma che può avere una durata fino ai 45 o 50 minuti, il tempo medio cioè di un trattamento. Personalmente, quando ormai abitualmente mi trovo a suonare le campane anche per varie ore, per esempio durante gli incontri di MeditArmonia, provo davvero una sensazione di piacevole rilassamento unito a una grande connessione con la pratica. La mia mente riesce a fondersi con le onde sonore, sento di essere io per primo pervaso dalle sonorità multiple che escono da questi strumenti magici. A volte sembra che il tempo cambi dimensione, non abbia la usuale durata ma che si congeli su una nota, che trascorra più lentamente mentre si attende che l’ultimo suono vada a spegnersi. Mi capita di essere in difficoltà e di interrompere quasi malvolentieri la pratica, per esempio nelle occasioni in cui suono per gli altri, ma sento di aver bisogno io in prima persona delle vibrazioni sonore. A volte mi trovo a pensare di essere in una dimensione moderatamente egoistica….suono per gli altri, ma molto anche per me. E’ riduttivo dire che esistono gli autottrattamenti scissi dai trattamenti proposti agli altri, perché queste due realtà sono quasi sempre sovrapposte. Suonare durante una pratica di gruppo dà in poco tempo la sensazione di poter creare una unità energetica e di intenti in cui ognuno ha la propria parte, e ognuno è funzionale per sé e per gli altri. Ecco, questa sensazione di appartenere a un qualcosa di unico e inscindibile a mio parere rende l’attività del suono delle Campane Tibetane unica nel suo genere. Si perdono davvero i lineamenti dei confini tra il nostro sentire e quello degli altri, ciò che serve che arrivi al cuore di ognuno arriva senza sforzo e con armonia. Talvolta parlare e cercare di descrivere queste sensazioni dà una piccola sensazione di inadeguatezza: senza provare quello che succede in una sessione di Campane Tibetane è davvero difficile comprendere, sarebbe come voler apprendere il sapore di un cibo senza averlo mai assaggiato in prima persona.
top of page
bottom of page
Comments